Colloquio con la dott.ssa Loredana Pellegrino,
Neuropsichiatra Infantile ASL Salerno

Dottoressa Pellegrino, oggi, 2 Aprile, ricorre la Giornata Mondiale sulla Consapevolezza dell’Autismo. Lei è d’accordo sul dedicare una giornata speciale per sensibilizzare la società su questo argomento?

In linea di massima no perché un argomento come questo dovrebbe essere attenzionato tutti i giorni dell’anno, però mi rendo anche conto che porre l’attenzione in un giorno particolare riusciamo a sensibilizzare anche chi non è sempre a contatto con una difficoltà del genere. Come clinico vedo, sento e vivo l’autismo tutti i giorni, ma chi non è del settore non ha un approccio continuo rispetto a un disturbo. Per cui dedicare una giornata significa porre l’attenzione anche di chi non è a stretto contatto con l’autismo

E’ interessante che venga chiamata Giornata Mondiale sulla CONSAPEVOLEZZA dell’Autismo. Cosa ne pensa?

Penso sia importantissimo, perché in questo modo non si stigmatizza un disturbo, tant’è vero che non si parla più di autismo ma di sindrome dello spettro autistico. Si cerca così di far rendere conto a tutta la società attraverso questa giornata di sensibilizzazione che lo spettro autistico è vario e le difficoltà e le compromissioni sono tante e sarebbe utile riconoscerle precocemente. E’ importante sensibilizzare quindi genitori, pediatri e insegnanti rispetto a quelli che sono gli indicatori precoci per fare una diagnosi, perché l’evoluzione del quadro cambia in maniera sostanziale da quel momento. Per esempio parlando di plasticità celebrale, una diagnosi fatta entro i 18/24 mesi ha una validità diversa rispetto ad una diagnosi fatta in età scolare: i risultati sono completamente diversi.

Quindi è sempre molto utile osservare gli atteggiamenti dei bambini che permettano di anticipare i tempi di diagnosi che potrebbero risultare tardive? 

Esattamente. E’ necessario capire quali sono gli atteggiamenti e dare attenzione ai campanelli d’allarme.

E’ importante coinvolgere tutte le agenzie educative che ruotano intorno al bambino. Ma nella società di oggi forse manca ancora qualcosa per gestire al meglio le diverse situazioni. Oltre al rapporto diretto con le famiglie e le scuole, secondo lei manca qualcosa negli altri contesti?

Oggi si parla di progetto globale e non più riabilitativo individuale per quel bambino. Però manca ancora la capacità di realizzare un progetto funzionale. Nonostante il grande sforzo che si sta facendo soprattutto in ambito abilitativo ed educativo, forse manca il coordinamento tra le varie strutture: scuola, enti comunali e Asl. Bisognerebbe organizzare veri e propri progetti funzionali specifici per ogni bambino.  Gli interventi non devono essere generici, ma dovrebbero analizzare nello specifico tutte le esigenze. Forse in questo modo si risparmierebbero anche molte risorse.

Quindi, per concludere, è importante personalizzare…

E’ funzionale, direi fondamentale. Soprattutto è importante capire che durante il corso della vita le esigenze cambiano e che ogni progetto abbia come scopo il miglioramento della qualità di vita sotto ogni punto di vista. Uno dei limiti più importanti è quello di pensare che all’età di 18 anni, terminata la scuola ed entrando nell’età adulta, l’autismo sparisce. Invece è da considerare che la vita adulta è ancora più difficile rispetto al periodo in cui si frequenta la scuola. Ovviamente dipende sempre dal grado di gravità, ma bisogna anche pensare a cosa può essere funzionale al percorso dell’adulto autistico. Ed è per questo che si parla di “qualità” della vita.

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